Vetro

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Uno dei materiali più antichi che, scomodando Nietzsche, è in realtà un materiale dell’avvenire. Il vetro – tra i materiali dell’architettura quello rimasto forse più simile a se stesso nel corso dei secoli – è anche quello che negli ultimi decenni ha subito un “salto quantico” in fatto di innovazione, in grado di cambiarne profondamente la natura stessa, associandolo a ruoli e funzioni dapprima affidati esclusivamente ad altri materiali.

Bisogna infatti aspettare il XVIII secolo perché le spesse lastre che tamponavano i primi serramenti delle domus romane, raramente delle insulae, diventino di uso comune, aggiudicandosi il primato di “discontinuità tecnologica più importante di tutta la storia dell’abitare” (Butera), grazie alla quale fu finalmente possibile un primo, parziale controllo sul microclima interno. Ma il materiale quasi grezzo che ricopre le volte di Galleria Vittorio Emanuele a Milano o Galleria Umberto I a Napoli è solo negli ultimi anni del XX secolo che ha lasciato il posto a un materiale duttile e interpretabile, in grado di assolvere a un ventaglio di funzioni un tempo non immaginabili.

Se in passato le tecniche di produzione vincolavano in anticipo il suo aspetto – spesso, traslucido, a superficie irregolare – oggi altre tecniche permettono invece di declinarlo in una varietà di versioni che riducono a un numero esiguo le “cose che non si possono fare” col vetro. Il vetro del XXI secolo è una base, una matrice, sulla quale imprimere le funzioni da assolvere – schermare, isolare, proteggere, rivestire, decorare, separare – i requisiti da soddisfare – tenuta al fuoco, resistenza meccanica, isolamento acustico, coibentazione – l’aspetto da proporre – trasparente, cieco, opaco, stampato, riflettente. Un materiale perfettibile, senza dubbio. Ma se, secondo le parole di Aalto, “l’architettura produce essa stessa il suo mondo di materiali e di procedimenti costruttivi”, il vetro, oggi, possiede contemporaneamente una storia illuminante e un futuro quasi tutto ancora da scrivere.

(M. R.)