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Giuseppe Rivadossi: custodie biografiche

15 Ottobre 2012

Le opere di Rivadossi sono il riflesso della sua storia. Una biografia che sconfina tra memoria ed innovazione; tra identità contestuale e avanguardia espressiva; tra manualità artigianale e sofisticata tecnologia costruttiva, ed infine un evidente rapporto di simbiosi tra affetti, valori morali, etici e una forma artistica che diventa “poesia della quotidianità”.

 


Credenze

 

Il rapporto natura e ricordo, tra luogo e persona sembra essere il tema di ricerca del lavoro espressivo di Rivadossi.

La relazione tra luogo e espressione artistica per Rivadossi è la ricerca di “un nuovo rigore che viene dalla cultura in rapporto con la città e lo spazio” e che si esprime attraverso “la morale del progettista e il progetto come espressione della cultura in senso totale”.

Una creatività non espressione di una “libertà senza senso” come ama definirla Rivadossi, ma un design che va oltre le possibilità tecniche, un paesaggio di interno in analogia a come si presenta la città. Le forme, le linee, i colori, sono segni ed evocazioni di un vivere che ricerca nella bellezza l’espressione del rapporto con la vita. Rivadossi dice che l’arte proviene dal profondo dell’essere e appartiene alla poesia; quindi basta cercare nella materia che è già luce e ombra per costruire uno specifico “linguaggio plastico”.

Le sue opere sono, come dice Giovanni Testori, figli della sua carne, della sua terra e le sue “custodie” sembrano essere il frutto che si apre per uscire dalla “custodia naturale” di un riccio di castagna. 

 


Custodia Altamira

 

Dalle prime opere come il Blocco Giallo in tiglio del 1968, alle Punte Krisa in tiglio di Selva del 1994, alla Custodia Altamira in noce nazionale del 2005, e fino alla Madia Lombarda del 2006, questo effetto di “materiale naturale” dell’opera in rapporto anche alla scala del paesaggio si percepisce come architetture di esterni in rapporto di osmosi e di stratificazione con lo spazio costruito.

Non spontaneità del gesto ma trasposizione di tecniche e tematiche artigianali del passato; non come oggetti di arredo ma di immenso e silenzioso amore tra uomo e prodotto per andare alle radici del linguaggio.

 

 

 
Scranno Tanzio

 

La semplicità è sintomo di un grande equilibrio espressivo che ha nel rapporto con la luce una ricerca di “dinamismo” percettivo in antitesi alla staticità degli oggetti che hanno nella materia, nel peso e nella dimensione le loro componenti formali e costruttive.

 


Credenza

 

Questa “ossessione di ospitalità ambientale” delle opere di Rivadossi è espressa tra un sottile equilibrio di relazioni tra proporzioni e rifrazioni, quasi uno sconfinamento involontario nelle tematiche linguistiche dell’arte cinetica che attraverso l’uso del legno ottiene un attraversamento  della materia  fino a plasmare e rendere visibile tutte le sue potenzialità.

Louis Kahn in un famoso aforisma disse: “chiedi al legno cosa vuole diventare”. A questa domanda Rivadossi non propone opere con funzioni meramente estetiche ma uno specifico e assoluto percorso ideativo atto a “riempire vuoti” in una semplicità formale e nel mettere ordine nel caos che oggi contraddistingue sia uno stato di fatto dei luoghi, sia una tendenza linguistica di una parte dell’architettura contemporanea. 

 


Pozzetto, chiuso (sopra) e aperto (sotto)

 

È attraverso l’aspetto artigianale come tema fondativo del progetto, ciò che Rivadossi chiama il “linguaggio della vita”, che riesce a coniugare uno stupendo equilibrio, la poetica del materiale e la forza del simbolismo.

Questo esclusivo lirismo espressivo compare anche nell’ultima produzione artistica come nel Dolmen in tiglio di selva 2006 e nelle Custodie Nave in juglans regie 2009; e come ci ricorda Mario Botta “opere straordinarie per la loro bellezza e cariche di intelligenza artigiana sono tali da trasmettere una capacità evocativa che tocca e commuove l’uomo oggi”.

 

Sergio Zanichelli

 

 


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