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Tegole e tubuli per pareti areate*

01 Settembre 2015



Terme Stabiane a Pompei. In evidenza le tegulae mammatae. (ph. A. Acocella)

 

 

Impiego innovativo dei laterizi cotti ne fanno ben presto i romani per creare pareti cave areate sia ai fini di eliminare l’umidità da pavimenti e pareti, sia per realizzare sistemi di riscaldamento delle abitazioni signorili e, soprattutto, degli edifici termali. Per queste applicazioni particolari le fornaci laterizie romane di fine repubblica e, poi, d’età imperiale mettono a disposizione dei costruttori manufatti speciali quali possono essere considerati le tegulae mammatae o i cosiddetti tubuli fittili cavi.
Al fine di eliminare l’umidità dalle pareti soggette ad infiltrazioni d’acqua (che avrebbe pregiudicato sia la fruibilità degli spazi sia la conservazione delle finiture decorative) sin dalla tarda repubblica si impiegano elementi lastriformi dotati di sporgenze (in forma di protuberanze simili a delle mammelle, da cui deriva il nome di mammatae) in corrispondenza o in prossimità degli angoli; tali elementi, collocati verticalmente di costa l’uno sull’altro in posizione avanzata rispetto alle pareti murarie da bonificare, consentono di creare una intercapedine cava (in genere di 4-5 cm) fra il muro portante e le superfici di intradosso delle tegulae mammatae.

 


Tipi di tegulae mammatae per la formazione di pareti areate. Da LUGLI (1957).

 

 

Bocche d’aria, adeguatamente predisposte in basso e nella parte alta della parete cava, assicurano l’attivazione di movimenti d’aria e, conseguentemente, l’eliminazione (o quantomeno la riduzione) dell’umidità delle pareti esposte a settentrione o di quelle contro terra. La particolare soluzione costruttiva a camera d’aria impedendo, in ogni caso, all’umidità di raggiungere la parete più interna formata dalle tegole mammatae consente a quest’ultima di ricevere intonaci e decorazioni senza pericolo di un loro deterioramento.
Vitruvio, nel capitolo del De Architectura dedicato all’isolamento dei rivestimenti parietali in ambienti umidi, svolge un’accurata e precisa trattazione del procedimento costruttivo:
«Sin autem locus non patietur structuram fieri, canales fiant et nares exeant ad locum patentem. Deinde tegulae bipedales exuna parte supra marginem canalis inponantur, ex altera parte bessalibus laterculi pilae substruantur, in quibus duarum tegurlarum anguli sedere possint, et ita a pariete eae distent ut ne plus pateant palmum. Deinde insuper erectae hamatae tegulae ab imo ad summum ad parietem figantur, quarum interiores partes curiosius picentur ab se respuant liquorem. Item in imo et in summo supra cameram habeant spiramenta».

 

 

 


Terme del Foro (I sec. a. C.) a Pompei. Visioni dello spazio del calidarium coperto a volta e dettagli della parete ventilata ottenuta a mezzo di tegulae mammatae. (ph. A. Acocella)

 

 

«Ma se lo spazio non consentirà la realizzazione di un secondo muro, si costruiranno canali con gli sbocchi all’aria aperta. Quindi da un lato verranno collocate sull’orlo del canale tegole di due piedi, dall’altro lato verrà costruita una base di pilastri fatti con mattoni di otto pollici, sui quali possano poggiare gli angoli di due tegole, e queste siano ad una distanza di non più di un palmo dal muro. Poi al di sopra verranno poste verticalmente tegole uncinate fissate al muro dal fondo alla cima, le cui parti interne saranno spalmate di pece con molta cura, in modo da respingere l’umidità. Dovranno inoltre essere dotate di aperture in basso e in alto al di sopra della volta».1

 


Terme con Heliocaminus di Villa Adriana (118-138 d. C.) a Tivoli. Visione della cupola emisferica e planimetria dell’impianto termale. (ph. A. Acocella)

 

 

Ambienti con pareti ad intercapedine che impiegano tegulae mammatae a fini di difesa nei confronti dell’umidità, sono attestati nella casa del Fauno a Pompei (dove una stanza fra l’atrio e il peristilio è tutta ”placcata” con tegole marginate – utilizzando il risvolto laterale delle stesse per effettuare il distacco), nella Casa di Livia e nella Domus di Tiberio sul Palatino, in varie case di Ostia.
A Sirmione nelle Grotte di Catullo sono, invece, stati rinvenuti mattoni di grandi dimensioni – nella tradizione della regione Cisalpina – ridotti nel loro spessore preoccupandosi di lasciare delle sporgenze in prossimità degli angoli e nel mezzo, adeguate ad effettuare il distacco rispetto alle pareti umide da bonificare.
L’evoluzione del sistema di riscaldamento degli ambienti nell’architettura romana produce – a partire dal I sec. a. C. – una specializzazione morfologica degli elementi in laterizio finalizzati alla realizzazione di pareti cave per il passaggio di aria calda.


Spaccato costruttivo e sezione della cupola emisferica delle Terme con Heliocaminus di Villa Adriana (118-138 d. C.) a Tivoli. Da GIULIANI (1990).

 

 

Se lungo tutta la fase arcaica e repubblicana le abitazioni romane sono solo parzialmente riscaldate nei periodi invernali attraverso focolari e bracieri trasportabili alla bisogna nei vari ambienti, a partire dalla tarda fase repubblicana si registra l’innovazione del riscaldamento alimentato da grandi focolari predisposti allo scopo.
La nuova soluzione è quella degli ipocausti – ovvero del riscaldamento effettuato “dal di sotto” dei pavimenti – a cui si collegano ben presto, in prosecuzione verticale, pareti ad intercapedine che evolvono, in qualche modo, l’esperienza accumulata nella costruzione di pareti in tegulae mammatae contro l’umidità.
Il sistema di riscaldamento è alimentato da un focolare (praefurnium) – sistemato in ambiente a quota più bassa, se non addirittura nel sottosuolo – in cui è possibile stoccare una notevole quantità di combustibile di origine legnosa.
Il calore prodotto dal fuoco è trasmesso direttamente – o, più frequentemente, in modo indiretto attraverso pareti che impediscono il passaggio dei fumi e dei gas tossici – negli spazi vuoti ricavati sotto i pavimenti (in genere alti fra i 40 e i 75 cm) e da questi, poi, lungo i cavedi delle pareti ottenute grazie all’impiego di tegulae mammatae e, successivamente, di tubuli laterizi cavi.

 


Tubuli fittili per la realizzazione di pareti areate. Da LUGLI (1957).

 

 

Il procedimento realizzativo degli ipocausti è ampiamente noto per le numerosissime attestazioni dei siti archeologici. Sul piano di fondazione è collocato un primo strato di tegulae bipedalis (ovvero mattoni quadrati delle dimensioni di circa 60×60 cm); nei punti di incrocio di tali elementi si innalzano tanti pilastrini di mattoni quadrati per un altezza compresa fra i 40 e i 75 cm; sulla teoria di pilastrini è posizionato un nuovo strato di bipedali che va a formare il piano di appoggio per un getto di cocciopesto, malta e la realizzazione dell’ultimo strato di rifinitura (in genere mosaico o lastricato di marmo).
L’altezza complessiva dell’ipocausto (spazio cavo più la stratificazione pavimentale) si attesta, comunemente, fra 80-90 cm.
In alcuni casi i pilastrini sono realizzati mediante l’impiego di laterizi circolari (la curva degli elementi, molto probabilmente, è ritenuta più idonea alla diffusione dell’aria calda) conclusi superiormente da 2-3 piccoli mattoni quadrati maggiormente funzionali al posizionamento dei bipedali superiori; è il caso delle attestazioni archeologiche di Veleia (Cagnano Varano, Foggia), S. Biagio (Messina). In siti di area campana (bagno della casa del Fauno, casa di Fabio Rufo, terme di Baia) sono documentati anche pilastrini in forma di colonnine cave, d’un solo pezzo di terracotta, con le estremità espanse al fine di avere una maggiore superficie di appoggio.

 


Terme del Foro a Ostia (II sec. d. C.). Visioni del calidarium con pareti cave per il riscaldamento realizzate con tubuli fittili e planimetria generale dell’impianto termale. (ph. A. Acocella)

 

 

Oltre al riscaldamento del piano pavimentale – soprattutto negli edifici termali – l’aria calda in movimento è convogliata, ascensionalmente, all’interno di pareti cave – proseguendo, in casi particolari, anche nello spessore delle superfici voltate.
Si tratta di intercapedini, dell’ordine di pochi centimetri, comprese fra il muro portante e una parete sottile laterizia in forma di schermo avanzato autoportante; in genere tale diaframma cavo è dotato, in alto, di bocche d’aria per il tiraggio dell’aria e l’espulsione dei fumi.
Per la realizzazione di queste pareti areate le fornaci romane immettono sul mercato tipi speciali di laterizi lastriformi a configurazione quadrata o rettangolare muniti, su una faccia, di quattro (o cinque) protuberanze; le più comuni e ricorrenti sono assimilabili a delle “mammelle”, da cui il nome di tegulae mammatae. Tali elementi sono istallati in verticale, ricorrendo a lunghi chiodi o graffe metalliche per l’ancoraggio ai muri portanti retrostanti.
Numerose tegulae mammatae sono state rinvenute negli scavi di bagni privati e pubblici. La forma più diffusa è quella con quattro sporgenze a tronco di cono disposte in prossimità degli angoli (Casa di Livia, Castel Porziano; altri tipi presentano sezioni di tronchi di piramide posizionate negli angoli che consentono una più stabile connessione (Villa dei Sette Bassi a Roma, Basilica di Treviri) nella formazione della sottile parete di laterizio.

 



Terme del Foro a Ostia (II sec. d. C.). Visioni del calidarium con pareti cave per il riscaldamento realizzate con tubuli fittili e planimetria generale dell’impianto termale. (ph. A. Acocella)

 

 

Con l’evoluzione degli stili di vita e della tecnica costruttiva lungo l’età imperiale è sviluppata, dalla metà del I sec. d. C., la produzione di nuovi manufatti laterizi per il convogliamento dell’aria calda al fine di un migliore riscaldamento delle pareti.
Nelle soluzioni realizzate con tegulae mammatae – a causa delle numerose protuberanze che interrompevano la continuità dell’intercapedine – può essersi registrata una non perfetta circolazione dell’aria calda, con creazione di vortici e ritorni all’indietro, al punto da suggerire di canalizzarla più efficientemente attraverso cavedi verticali “compartimentati”.
Potrebbe giustificarsi, così, la produzione dei tubuli (mattoni forati di forma parallelepipeda) molto variabili nelle dimensioni: da formati 9×13 cm a formati 14×25 cm. Tali elementi montati l’uno sull’altro, a volte anche l’uno nell’altro, consentono di realizzare pareti cave con condotti rigorosamente verticalizzati per il movimento ascensionale dell’aria calda; alcuni tipi di tubuli sono dotati di fori laterali per consentire – anche trasversalmente – la diffusione dell’aria calda da un cavedio all’altro assicurando un’uniforme temperatura delle pareti.
Gli elementi tubolari – incisi, a volte, nelle loro facce esterne con piccoli solchi per una migliore aderenza con gli strati di rivestimento – sono resi solidali ai muri portanti mediante malta; nei giunti di malta, fra tubulo e tubulo, spesso vengono inserite delle grappe metalliche a forma di T capaci di serrarli due a due.

 

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Note
* Il presente contributo è contenuto nel volume Alfonso Acocella, Stile laterizio II. I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma, Media MD, 2013, pp. 76.

1 Vitruvio, De Architectura (libro VII, c. 4, 13).
La citazione è tratta dall’edizione del De Architectura curata da Pierre Gros per i tipi di Giulio Einaudi Editore, Torino, 1997, voll. II.


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MD Material Design
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ISSN 2239-6063

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Alfonso Acocella
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