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DIGITAL MATERIALITY IN ARCHITECTURE

05 Agosto 2010

 

Digital Materiality in Architecture Gramazio & Kohler
Lars Müller Publishers, Baden 2008
111 pagine, illustrazioni a colori
testo in inglese

Il lavoro di Fabio Gramazio e Matthias Kohler è efficacemente illustrato in questo agile testo, in chiara e fluida lingua inglese, specificamente finalizzato a restituire al lettore la chiave di lettura per l’interpretazione di una ricerca che, dalle cattedre dell’EHT, si estende all’intensa attività professionale che i due giovani architetti svolgono con passione nel loro studio di Zurigo “Gramazio & Kohler - Architecture and Urbanism”.
Già recentemente ospite della Facoltà di Architettura di Ferrara, nell’ambito della conferenza “Digital Materiality in Architecture” Fabio Gramazio aveva brillantemente enunciato le finalità di un lavoro teso a indagare le intrinseche connessioni tra potenzialità tecnologiche dei materiali da costruzione e processi ideativi ed esecutivi interamente digitalizzati.
Senza mai perdere di vista l’irriducibile distinzione che intercorre tra mente umana e intelligenza artificiale, e senza abbandonarsi ad esasperazioni tecnocratiche dell’universo computerizzato, lo studio svizzero fa del dispositivo digitale un indispensabile mezzo - e non un fine - di indagine e sperimentazione per definire una nuova materialità in termini figurativi e costruttivi: l’avvento dei processi informatizzati nella progettazione segna infatti un epocale trasformazione nel fare architettura, attraverso la definizione di nuove potenzialità espressive e prospettive concettuali, dagli embrioni ideativi all’esecuzione del prodotto finito.
Si dischiudono così impensabili strade progettuali che gettano una insospettabile luce sulla profonda fascinazione sensoriale derivante dai sistemi di progettazione computerizzata ed esecuzione robotizzata. Quasi a consacrare finalmente, una volta per tutte, la coesione tra vocazione artistica e serialità produttiva tanto sospirata dal movimento Arts and Crafts del XIX secolo, e successivamente dalla Wiener Werkstätte, dal Deutscher Werkbund e dal Bauhaus, il lavoro degli architetti svizzeri dimostra concretamente che un prodotto di altissimo valore poetico può pienamente convivere con un processo produttivo fortemente ottimizzato in termini di tempi, costi e qualità esecutiva.
Così, nascono i pannelli in elementi modulari rigidi di calcestruzzo, laterizio, legno, e anche le forme “liquide” derivanti dall’addensamento di schiuma di poliuretano, realizzati dal braccio meccanico KR150 L11, in grado di sollevare fino a 110 kg e di svolgere in modo assolutamente automatizzato operazioni di varia natura e complessità, dall’assemblaggio ripetitivo di elementi costruttivi alla elaborazione di forme uniche, variegate e dalla straordinaria laboriosità artigianale. Grazie alla disponibilità del produttore svizzero di laterizi Keller AG, KR150 L110 si trasforma poi nell’unità mobile “R-O-B”, organizzata per essere facilmente trasportabile direttamente nei siti di costruzione e lavorare in sicurezza anche in condizioni atmosferiche disagevoli, prefigurando quindi la massima possibilità applicativa del braccio robotizzato in contesti sempre differenti.

  • The sequential wall, 2008
  • Resolution wall, 2007
  • Istallation at 11th Venice Architecture Biennale, Swiss Pavilion, 2008
  • Istallation at 11th Venice Architecture Biennale, Swiss Pavilion, 2008
  • Swish*, exhibition pavilion at Expo 2020, Biel
  • Tanzhaus, Contemporary Dance House, Zurich, 2005-07
  • Bahnhofstrasse Christmas Lights, Zurich, 2003-05



Oltre che sull’“addizione” di elementi, che costituisce il principio fondativo del costruire, gli architetti svizzeri operano anche sul tema di come i materiali reagiscano da un punto di vista figurativo e strutturale alla “sottrazione” di materia: la possibilità di lavorare sui vuoti e sulle bucature dischiude molteplici potenzialità in termini espressivi grazie all’interazione tra costruito e luce naturale ma anche in termini tecnologici, attraverso il controllo del fattore di irraggiamento e dunque del confort microclimatico degli ambienti.



Il testo propone, oltre a un chiaro apparato documentativo delle ricerche universitarie presso l’EHT, anche alcune delle principali realizzazioni dello studio in cui si coglie, insieme alla costante tensione a spingere i vari materiali verso le massime potenzialità evocative attraverso un processo di progettazione digitalizzata, anche una profonda sensibilità a garantire una effettiva vivibilità degli spazi.
Sono così illustrati il progetto di concorso per i bagni pubblici a Locarno (2008), in cui il guscio di copertura rivela nelle forme le tensioni strutturali virtualmente elaborate per via informatica; il complesso Rubik di alloggi per studenti di Zurigo (progetto di concorso 2008), in cui le diversità degli spazi abitativi si rivela in  facciata nei tagli differenti delle bucature, incorniciate da una “pelle” plasmata da forme geometriche variabili; la facciata della cantina Gantenbein (Fläsch, Svizzera, 2006), in cui il sistema costruttivo robotizzato viene chiamato ad evocare, attraverso l’aggregazione di laterizi diversamente angolati e orientati all’interno di pannelli incorniciati in cls, suggestive stimolazioni visive indotte dall’incidenza variabile della luce a seconda delle ore del giorno all’interno dei locali; lo sWISH* Pavilion all’Esposizione Svizzera Nazionale  di Biel (2002), in cui un contenitore esternamente “muto”, caratterizzato da facciate continue in poliuretano, viene internamente vivacizzato dalla luce penetrante dalle superfici orizzontali perforate della copertura.

 

 

L’opera di Gramazio e Kohler è solo agli inizi di un percorso davvero promettente, che potrebbe dare avvio a numerose altre forme di indagine inerenti ulteriori materiali da costruzione fino ad oggi inesplorati dallo studio, quali ad esempio la pietra o il vetro.
Kant sosteneva - come ricorda Sean Keller - che il “sublime” sprigionato dalle piramidi egiziane non deriva dalla forma geometrica compiuta ma dall’impossibilità di cogliere il numero dei blocchi da cui il manufatto è costruito: per il massimo impatto, bisogna dunque situarsi in posizione né troppo vicina né troppo lontana, in quanto l’opera deve essere leggibile nella sua interezza ma anche attraverso ogni singola parte che la compone. Su questa base strettamente “quantitativa”, Kant fonda il concetto di sublime.
Forse, è proprio sotto questa luce che si può interpretare l’opera di Gramazio e Kohler, che potremmo non del tutto a torto definire come gli interpreti di un nuovo “romanticismo digitale”.

Chiara Testoni


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MD Material Design
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ISSN 2239-6063

edited by
Alfonso Acocella
redazione materialdesign@unife.it

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