Post-it

Voyeuristi da museo

31 Agosto 2010

Si paga il biglietto, come se si dovesse entrare in un vero e proprio peep show, e ci si accomoda tra le grandi sale dell’ex centrale elettrica riprogettata dal duo svizzero Herzog&DeMeuron. Per vedere immagini rubate e seducenti, cronache dei paparazzi nella Roma felliniana, frame selezionati da qualche telecamera a circuito chiuso, fotografie in bianco e nero di prostitute della New York post bellica, interni di hotel passati al setaccio come in un archivio criminale, mappe satellitari di guerra, attrici hollywoodiane sorprese ed indifese all’uscita da un locale, scultoree modelle seminude, ebbene, per vedere tutto questo, basta entrare alla New Tate di Londra.

Certo appare quasi come un paradosso l’istituzione che mette in mostra il non istituzionale per eccellenza, la violazione della privacy, il gioco sottile del non visto e dell’esposto, del sovra-esposto e dell’esibito, del tradito, dell’inganno tra vera finzione e falso pudore, della sorveglianza esplicitata e dell’interferenza pagata, del complotto tra recita e media, tra attori sulla scena e attori nella vita. Già, perché il museo è il luogo deputato al voyeurismo culturale, il posto in cui guardare le immagini pagando un biglietto è fatto pubblico, condiviso, accettato; fa anzi parte di un rituale del turismo, di una pratica sociale universale che vede languide signore rinfrescate da un ventaglio traforato e inamidato acquattate ad osservare scultorei bronzi poco abbigliati, affreschi muscolosi e assai svelti, così come attenti connaiseurs impettiti e silenti accigliati dinnanzi a pennellate trasparenti che compongono figure femminili denudate, gruppi orientali di turisti meccanicamente impegnati a registrare con fotocamere digitali ogni angolo annerito dell’Europa rinascimentale. Comportamenti quasi naturali, perché vedere è un atto fondamentale che l’arte eleva a piacere estetico quasi dimenticando o appositamente tralasciando un fatto fondamentale: vedere è un piacere sensuale che la nostra cultura ha manomesso fino a farlo divenire peccato originale.

Exposed. Voyeurism, Surveillance and the Camera, la mostra che fino al 3 ottobre occupa il quarto piano della ex-centrale elettrica affacciata sul south bank londinese è una riflessione per immagini delle trasformazioni che la fotografia ha prodotto – e di cui è stata protagonista – nel complesso ambito della visione rubata, reale o semplicemente simulata, fino a opere recenti legate ai sistemi di sorveglianza, alle mappature militari ed all’archivio processulale di materiali spesso considerati poco influenti per l’arte. Questa mostra è, infatti, principalmente un ricco catalogo di exempla riferiti al mondo della fotografia tra XX e XXI secolo nonché un tentativo di riposizionamento di alcuni celebri autori presentati in questa rassegna di scatti rubati attraverso la lente intrigante ma spesso ambigua del voyeur. Forse il titolo si rivela un po’ troppo complesso rispetto alle reali possibilità di visione che la galleria d’immagini riesce a presentarci, forse in alcuni casi sono state compiute alcune forzature o semplificazioni per adattare il soggetto alle richieste dei curatori ma, a ben guardare, Exposed è una delle mostre più interessanti che la Tate abbia proposto negli ultimi anni.

 

Men's shoes with camera hidden in heel

© National Museum of American History Photographic History, gift of The New York News

 

Le 250 opere fotografiche esposte sono divise in diverse sezioni composte come in un’antologia del proibito in senso a volte cronologico a volte diacronico formando dei veri e propri file segreti tra cui lo spettatore può perdersi e ritrovarsi, fantasticare o sfuggire. The Unseen Photographer, la prima delle cinque sezioni è dedicata alle tecniche fotografiche che, dalla metà del XIX secolo ad oggi hanno permesso agli artisti di documentare momenti privati e inediti della vita delle persone. Dalla camera nascosta nel tacco delle scarpe, passando per la macchina fotografica-orologio fino alle più recenti immagini carpite attraverso le tecnologia digitale, qui trovano  posto autori del calibro di Walker Evans, Philip-Lorca di Corcia, Paul Strand, Ben Shahn, Henri Cartier-Bresson ed Harry Callahan.

 

Harry Callahan, Atlanta 1984

San Francisco Museum of Modern Art © Estate of Harry Callahan

 

Celebrity and the Public Gaze è, come il titolo lascia presagire, una panoramica tridimensionale sul mondo della carta patinata, dei gossip, dei paparazzi e del divismo. In questa parte della mostra i curatori cercano di dimostrare come l’idea stessa di celebrità sia inesorabilmente legata all’avvento della fotografia e come, il legame a volte crudele tra esibizione di sé e fama sia oggi condizione imprescindibile per lo star system. A raccontarci dell’evoluzione di questo particolare filone della fotografia firme celeberrime come Tazio Secchiaroli e Marcello Geppetti (da cui Fellini trasse ispirazione per il personaggio di Marcello Mastroianni ne La Dolce Vita) ma anche autori contemporanei come Alison Jackson.

 

Weegee (Arthur Fellig), Marilyn Monroe c1950s

© Weegee / International Center of Photography / Getty Images

 

Cuore della mostra è sicuramente la terza parte, Voyeurism and Destre, in cui viene proposto un immaginario erotico, legato alla fotografia, variegato e divertente – mai volgare – attraverso immagini sorprendenti e di altissima qualità. L’illecito si mescola qui ad un’idea d’intimità divisa tra falsificazione e verità: davvero, si chiede lo spettatore di fronte ad ogni immagine sapientemente costruita, questo scatto è stato fatto contro la volontà del soggetto immortalato? A rispondere, attraverso le loro opere, antiche memorie, come le modelle nude e pudiche di Louis-Camille D'Olivier, e sfrontate super-donne nelle fotografie di Guy Bourdin ed Helmut Newton. Ma anche le raffinate ed apparentemente semplici raffigurazioni di Miroslav Tichý o le ammiccanti gonne di Auguste Belloc per non parlare del divino Robert Mapplethorp di cui forse, le opere più sconvolgenti restano alcuni autoritratti non presenti in mostra. Qui la parte da leone la fanno anche le donne: Susan Meiselas, Merry Alpern e Cammie Toloui il cui autoritratto farà girare la testa a molti signori.

Alcune stanze sono dedicate a lavori più complessi, come nel caso di The Park, opera sublime del giapponese Kohei Yoshiyuki in cui il fotografo immortala scene di voyeurismo collettive in un gioco di sguardi per nulla ovvio. Queste immagini sono di una spontaneità e di una lividezza rare e davvero ci si chiede se non sia tutto il set di un complesso film. Nello stesso modo si resta coinvolti di fronte al lungo ed intimo lavoro The Ballad of Sexual Dependency di Nan Golden che attraverso tre decadi ha catturato sguardi e scene del suo mondo familiare.

 

Weegee (Arthur Fellig), Audience in the Palace Theater c1943

© Weegee / International Center of Photography / Getty Images

 

Più cupa ma ugualmente coinvolgente la quarta parte della mostra, Witnessing Violence, in cui la fotografia ci costringe ad entrare nel duro mondo del crimine rendendoci spettatori involontari di dolorose scene. Una violenza sottile emerge da questi scatti che se da una parte ci permettono di essere presenti ad alcuni accadimenti del mondo, dall’altra ci obbligano ad una presa di coscienza repentina. L’immagine infatti non ha mediazione, appare con improvvisa brutalità a raccontarci cronache del mondo. Testimoni-artisti di scene cruente sono qui Weegee, Letizia Battaglia, Alexander Gardner, Felice Beato e John Reekie. Ma molto spesso le immagini non hanno autore com nel caso dei campi di concentramento in cui i carnefici immortalavano prima di ucciderle le loro vittime.

 

Abraham Zapruder, Assassination of John F Kennedy, November 22 1963

San Francisco Museum of Modern Art ©1967 (Renewed 1995) The Sixth Floor Museum at Dealey Plaza.

 

Surveillance, ultima parte di questo ricco repertorio è un inno al pensiero di Foucault e alle pratiche di controllo che sempre più popolano la nostra quotidianità. Pratiche di spionaggio e protocolli militari sono esposti come opere d’arte involontarie anche perché sempre più mescolate, nell’epoca dell’immagine, alle fotografie autoriali. Molto fotografi, in tempi recenti hanno usato le tecnologie di sorveglianza come soggetto del loro lavoro: Andreas Magdanz con l’esercito americano in una piccola città della Germania, Jonathan Olley con le innumerevoli foto alla torre d’osservatorio che l’esercito inglese ha piazzato in una zona a nord dell’Irlanda o Mark Ruwedel che ha monitorato il confine tra Messico e Stati Uniti. Più intimista il lavoro, ormai celebratissimo di Sophie Calle che, spacciandosi per cameriera d’hotel ha fotografato durante alcuni mesi gli oggetti presenti nelle camere d’albergo in cui lavorava. Simile il lavoro di Bruce Nauman con gli infrarossi grazie ai quali ha potuto documentare il suo studio nel New Mexico. La mostra si chiude con le immagini missilistiche riprese attraverso tecniche molto elaborate da Harun Farocki nella serie Eye/Machine.

 

Shizuka Yokomizo, Stranger No. 1 1998

San Francisco Museum of Modern Art © The artist

 

Uscendo dalla mostra lo spettatore si chiede, un po’ attonito, se il protagonista di molte immagini non sia forse proprio lui, l’uomo qualunque catturato mentre parla in boxer al telefono dalla stanza di un qualunque hotel. Il consiglio allora è di andare alla Tate per controllare, forse in qualche immagine potreste esserci anche voi…

 

di Elisa Poli


torna su stampa
MD Material Design
Post-it
ISSN 2239-6063

edited by
Alfonso Acocella
redazione materialdesign@unife.it

-